Pro e contro di un Governo che deve ancora dar prova di saper governare

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di Salvo Barbagallo

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Di solito nascondiamo la nostra ignoranza con l’arroganza: purtroppo questa è una caratteristica “comune” ad una gran parte degli Italiani. E dietro l’arroganza celiamo pure i nostri (naturali) limiti auto affibbiandoci il bollino “Doc”, quello che ci indica come “migliori” e più “bravi” degli altri. Molto scarso il senso dell’umiltà: un dato di fatto più che accertato.

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I mass media oggi (se non tutti, quasi tutti) hanno espresso giudizi non certo positivi sul Governo nazionale appena formatosi, scaturito dall’alleanza Cinque Stelle/Lega e avviato grazie alla “pazienza” dimostrata dal Capo dello Stato Sergio Mattarella nel corso di lunghe ed estenuanti trattative. Un Governo che materialmente non ha avuto il tempo di mostrare e dimostrare le capacità delle sue componenti umane e tecniche, che ancora non ha avuto materialmente il tempo di dar prova di sapere governare, oppure no. E pur tuttavia questo Governo è stato etichettato come “populista” e “sovranista”, due termini usati come dispregiativi, mentre l’alleanza Cinque Stelle/Lega è stata definita apertamente una “pagliacciata”. Ovviamente non intendiamo discutere le “opinioni” espresse, che rispettiamo fin quando non diventano offensive o lesive delle “dignità”.

Ci interessa evidenziare soltanto alcuni punti che (a nostro avviso, ma umilmente affermiamo che potremmo essere anche in errore…) non dovrebbero essere contestati da nessuno:

  • Nelle elezioni del 4 marzo gli Italiani hanno espresso la loro volontà “politica”: hanno dato fiducia alla coalizione di Centrodestra, hanno dato la vittoria al Movimento 5 Stelle, forze fra loro non “compatibili” per formare un Governo, per una serie di veti reciproci.
  • L’ovvia necessità per il Paese d’avere un Governo.
  • Il rischio di andare ad elezioni anticipate, per riproporre, magari, le stesse condizioni di “incompatibile” governabilità.
  • Le titubanze e perplessità del Garante dell’Italia, il Capo dello Stato, a fronte della possibilità della strana e, apparentemente, inconcepibile alleanza tra 5 Stelle e Lega nella prospettiva di un Governo comune.
  • L’impossibilità di costituire un Governo tecnico promosso dal Capo dello Stato.
  • Il compromesso che ha consentito la formazione del Governo in carica da oggi, con il placet del Capo dello Stato sul nome dei ministri proposti dal premier incaricato Giuseppe Conte e con le assicurazioni che non venga toccata minimamente la presenza dell’Italia all’interno dell’Unione Europea.

Su questi punti indicati si dovrebbe riflettere: quale altra via di fuga dalla realtà si poteva imboccare?

In generale il nostro giornale non ha mai espresso “particolare” simpatia per le forze politiche in campo da anni e anni, quelle forze che hanno condizionato (in malo modo) la vita della collettività nazionale. Anzi: siamo stati critici e pesanti nel giudizi, cercando di mantenerci costantemente nell’obbiettività dei fatti sottoposti all’attenzione dei lettori. Nel caso di questo Governo nato da poche ore non riteniamo corretto esprimere giudizi: vorremmo vederlo prima al lavoro, e vorremmo vedere cosa riserverà agli Italiani. Non nascondiamo, però, dubbi e preoccupazioni: da Siciliani teniamo sempre bene in mente le parole (più che note) di Giuseppe Tomasi di Lampedusa “Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi”. C’è da dire, però, che elezioni del 4 marzo scorso appaiono come il ribaltamento della concezione Gattopardiana, in quanto sono i “sistemi” tradizionali che sono saltati per precisa volontà “popolare” espressa con il voto. Un voto che il “sistema” stesso non è riuscito a condizionare, e che ha dato un risultato che, nella pratica, è stato e sarà maggiormente difficile ad essere gestito.

Cioè (ma è pur sempre la nostra opinione, che pur sempre può essere errata…) i giovani Renzi di ieri vanno considerati già dinosauri, anche se possono suscitare incertezze gli ultra ottantenni Savona & Company chiamati a governare, a causa delle loro criticabili partecipazioni precedenti in Governi che bene non hanno portato all’Italia.

Appare se non un controsenso, sicuramente un stortura etichettare in senso dispregiativo di “populismo” e “sovranismo” quanti possono avere idee diverse da chi ha spadroneggiato in Italia per decenni. Ci si chiede il “perché” non si consulti un semplice dizionario per sapere cosa significhi “populismo”: Atteggiamento o movimento politico tendente a esaltare il ruolo e i valori delle classi popolari (dizionario Sabatini Colletti). Niccolò Talenti sul “Il Fatto Quotidiano” del 31 ottobre 2013 faceva rimarcare (…) Il dizionario Treccani afferma che per “populismo” si intende il “movimento culturale e politico sviluppatosi in Russia” tra il 19° e 20° secolo, “che si proponeva di raggiungere […] un miglioramento delle condizioni di vita delle classi diseredate, specialmente dei contadini e dei servi della gleba”. Attenendosi dunque al significato proprio e originario di questo termine, non vi troviamo assolutamente niente di negativo o di criticabile, mentre quando chicchessia usa questa parola oggi, le conferisce un significato dispregiativo, confondendola di fatto con un’altra parola, che in realtà è “demagogia“ (…). Ma più apertamente dovremmo ricordare (e non dimenticare e ignorare) quanto afferma la Costituzione Italiana all’Articolo 1L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.

E in merito al deprecato “sovranismo”? Secondo la Treccani l’aggettivo sovranista indica “chi, in politica, sostiene il sovranismo”. Ovvero, si tratta di un “neologismo utilizzato per indicare chi aderisce al sovranismo, dottrina politica che riconosce il potere sovrano di una nazione o di un popolo, non assoggettabile a nessun’altra autorità esterna”. Sempre per la Treccani, il sovranismo è “la posizione politica che propugna la difesa o la riconquista della sovranità nazionale da parte di un popolo o di uno Stato, in antitesi alle dinamiche della globalizzazione e in contrapposizione alle politiche sovranazionali di concertazione”.

Se, poi, bisogna perseguire l’opinione individuale e collettiva come “reato”, il discorso cambia…

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